1. La vocazione

Il mio amico Carlo da bambino aveva paura della vocazione. Andava a scuola dalle suore e queste suore gli avevano spiegato che la vocazione è una voce che arriva all’improvviso, di solito di notte e non puoi assolutamente resistere o ribellarti alla sua volontà. Quando arriva arriva, prende e ti dice come ti devi comportare. La cosa più brutta, ma che alle suore sembrava bella, è che non hai voglia di ribellarti.
Una prospettiva terrificante, per un bambino innocente.
E allora Carlo quando scendeva la sera aveva paura di sentire questa voce nella testa. Sua madre vedendo che proprio non intendeva andare a letto gli chiese:
“Ma cos’hai?”
“Ho paura della vocazione, le suore mi hanno spiegato che è una voce che arriva di notte e non puoi farci niente”.
“Ma va’, rispose svelta e sicura la madre, la vocazione viene ai preti”.
E con questa risposta la paura svanì.

2. La  lussuria

Verso i dieci anni fu colpito dalla parola “lussuria”.
“Papà, che vuol dire lussuria?” domandò.
A quel punto fu colpito anche dallo schiaffo del padre.
In camera sua, frastornato,  capì perché era stato inventato il vocabolario. Il significato delle parole era meglio cercarlo lì, ecco il punto. Chiedere ai genitori poteva essere rischioso. Lo aprì.
“Lussuria: smodato desiderio della carne” lesse. Boh.
Era un bambino assetato di conoscenza e il pomeriggio seguente si piazzò dal macellaio. Esaminava le persone. Voleva capire  il vero significato dello schiaffo. Che per di più era arrivato immediato e lapidario, senza una parola di commento, senza una spiegazione, né prima né dopo. Per quanto fissasse i clienti soppesando i dettagli non  capiva. Senz’altro tutte le persone che erano lì desideravano la carne. Poco ma sicuro. Ma chi di loro aveva un desiderio smodato? Quali erano i segni dell’eccesso?  Non osava chiedere: se il padre gli aveva dato uno schiaffo, magari gli estranei lo ammazzavano, con tutti quei coltelli. Doveva trattarsi di un terribile segreto.
Alla fine andò via perché la gente lo guardava male e lui si preoccupò. Forse il sangue che vedeva ovunque apparteneva a bambini curiosi. “Avessi avuto più tempo avrei capito il segreto della carne, ma meglio non rischiare” pensò.

3. La scrittura

La maestra ci fece leggere un testo su Attila, il famoso unno che devastava tutto. “Gli unni vivevano di rapine” c’era scritto. L’idea mi piacque immensamente. Arrivammo a un punto in cui Attila addenta un coscio di carne, al che una mia compagna piena di entusiasmo  fece notare che c’era un errore.
“Un errore?” chiese la maestra.
“Attila era vegetariano”.
La maestra era molto stupita per la rivelazione.
“Perché dici che era vegetariano, cara?”
“Gli unni vivevano di rapine” ripeté zelante.
La mia compagna aveva scambiato le rapine intese come atto di rapinare con le rapine intese come verdure da mangiare.
In fondo tutta la storia poteva essere letta in questo secondo modo: gli unni che devastano il mondo per le rapine. Il papa Leone I che li ferma dicendo “Basta rapine”. E così via.
Questo incrinò la mia fiducia nella parola scritta.

(Nota. La vocazione e La scrittura sono tratti da La zia subacquea e altri abissi famigliari, Mondadori 2015).

Il mistero della comunicazione in tre parabole di Enzo Fileno Carabba

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