Sigmund Freud camminava sul Ponte alle Grazie e si fermò a guardare sotto. Si teneva gli occhiali perché non cascassero, immaginando chissà quali pesci terribili che risalivano dalle profondità dell’Arno. Era già stato a Firenze, credo nel settembre del 1896, e l’aveva trovata opprimente e confusionaria. Ma ora aveva deciso di rivederla e ci era tornato  in incognito, trovandosi in uno di quei suoi momenti difficili in cui aveva bisogno di andare in giro da solo. Improvvisamente sentì una voce. “Professore”. Nessuno sapeva che lui era lì. Da dove veniva quella voce? Dalla sua testa? Dai pesci terribili che risalivano le profondità dell’Arno? Continuò a fissare il fiume. Ma la voce insisteva. “Professore, professore”. Una figura in carne e ossa gli si parò davanti. Era Giovanni Papini, pervaso da un’agitazione che gli arrivava fino ai capelli. Si erano conosciuti qualche anno prima. “Professore, mi parli delle sue scoperte scientifiche, scoperte che stanno cambiando il mondo”. Freud aveva parlato mille volte delle sue scoperte scientifiche che stavano cambiando il mondo. Ma quel giorno non se la sentì di mentire al cospetto dei pesci terribili che si agitavano nelle acque torbide. “Non ho fatto nessuna scoperta scientifica”. Papini rise, pensò che scherzasse, forse il professore dietro quell’aria così seria era un burlone. Ma lo sguardo di Freud aveva qualcosa di poco goliardico. “Tutti credono che il mio lavoro abbia carattere scientifico e sia finalizzato alla cura delle malattie mentali. È un equivoco. Io sono un artista”. Papini spalancò gli occhi. Guardava affascinato la bocca del professore, gli sembrava una sensuale bocca da satiro, anche se ciò non emerge dalle fotografie che sono arrivate fino a noi. “Infatti la mia opera viene compresa meglio dagli scrittori che dai medici. I miei libri sono frutto dell’immaginazione. Sono un letterato. Invento. Se legge con attenzione, difficilmente troverà, nei miei scritti, una prova scientifica di ciò che sostengo, o una descrizione accurata delle procedure seguite”. Papini era uomo dalle conclusioni veloci: “Dunque professore lei ha imbrogliato tutti?” Freud era uomo dalle conclusioni lente. Ci pensò su. “No, non direi. La mia opera letteraria desta interesse quando vien scambiata per un trattato di patologia. Lascio che accada. Sono rimasto un letterato pur facendo in apparenza il medico. Totem e tabù, tanto per fare un esempio è un romanzo storico. Con la creazione della Psicanalisi ho cercato di unire Heine, Zola e Mallarmé, sotto il patronato di Goethe”.
Questa rivelazione clamorosa dice  molto sul rapporto tra Scienza e Arte. Può sembrare inverosimile invece è tutto vero, a parte i dettagli inventati.  Infatti Papini anni dopo incontrò nuovamente Freud e lo indusse a riprendere e approfondire questi discorsi. Freud si raccomandò di non rivelare il suo segreto. Papini promise e poi pubblicò un’intervista (Visita a Freud, in Gog, Vallecchi Firenze 1931).

Ho scritto questa paginetta dopo aver letto Le Storie che curano, di James Hillman, psicanalista, saggista e filosofo di enorme interesse. All’inizio del libro si parla della clamorosa  intervista di Papini a Freud e se ne riportano alcune frasi. Mi sono preso la libertà di inventare qualche dettaglio secondario, come l’incontro sul ponte. Poi un giorno l’illuminazione: possedevo da anni Gog, il libro di Papini in cui compare l’intervista in versione integrale. Sono corso a leggerla e ho scoperto una seconda cosa clamorosa. Non è affatto un’intervista di Papini a Freud. Il libro è opera di finzione. Nel libro è uno strano personaggio conosciuto in un ospedale psichiatrico, e che appunto si chiama Gog, ad aver incontrato Freud. Un lettore che abbia per le mani il libro non può sbagliare, non può prendere quel racconto per una vera intervista.  Forse Hillman conosceva solo qualche brano di quel racconto, oppure l’ha trasformato in qualcosa di vero perché la sua autenticità era utile ai suoi scopi. Chissà quante verità nascono in questo modo.

Un ponte tra Arte e Scienza – di Enzo Fileno Carabba

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